Viaggio in aereo verso Natale

Quando Marco salì sull’aereo, la vigilia di Natale gli sembrava uguale a tutte le altre: file interminabili, annunci metallici, gente che correva con pacchi malchiusi sotto il braccio. Tornava a casa dopo anni trascorsi lontano, e l’unico desiderio era sedersi a tavola con sua madre, ascoltare il ticchettio dell’orologio in cucina, sentire che almeno per una sera il tempo si fermava.

Decollati da poco, le luci della città svanirono sotto una coltre di nuvole. Poco dopo, l’aereo cominciò a tremare. Prima leggermente, poi con scosse sempre più decise. Fuori dai finestrini, il cielo si fece bianco, compatto, come se stessero volando dentro una tempesta senza fine.

Il comandante parlò con voce calma, ma tesa. «Signore e signori, a causa di una forte nevicata siamo costretti a deviare la rotta. Atterreremo in una città vicina. Vi terremo aggiornati.»

Marco chiuse gli occhi, sospirando. Proprio stasera, pensò.

Quando l’aereo toccò terra, però, qualcosa non quadrava. Dall’oblò vide luci calde, ghirlande ovunque, un grande albero illuminato al centro della pista. Scese la scaletta e fu accolto da un’aria fredda ma sorprendentemente profumata di cannella e agrumi.

All’interno del piccolo aeroporto, un cartello di legno recitava semplicemente: Buon Natale. Nessuna data. Nessun orario.

«Scusi,» chiese Marco a un uomo con un cappotto scuro e un berretto rosso, «in che città siamo?»

L’uomo sorrise. «Benvenuto. Qui sei arrivato proprio quando dovevi.»

Fuori dall’aeroporto, la città sembrava uscita da un vecchio libro illustrato. Case con le finestre illuminate, mercatini colmi di giocattoli di legno, campanelli che tintinnavano a ogni passo. La neve cadeva lenta, senza accumularsi mai troppo, come se qualcuno la dosasse con attenzione.

«È sempre così?» domandò Marco a una donna che vendeva caldarroste.

Lei annuì. «Qui è sempre Natale. Ogni giorno.»

Nei giorni — o forse nelle ore, Marco non seppe mai dirlo con certezza — che trascorse lì, riscoprì gesti dimenticati: parlare con sconosciuti senza fretta, sedersi accanto a un camino ad ascoltare storie, aiutare a decorare un albero che veniva smontato e rimontato ogni sera. Nessuno sembrava avere un’età precisa, e nessuno aveva fretta di andare altrove.

Una notte, mentre osservava la neve scendere nella piazza principale, un anziano si sedette accanto a lui. «Tutti arrivano qui per caso,» disse. «Ma non tutti capiscono perché.»

«Perché io?» chiese Marco.

L’uomo lo guardò con occhi gentili. «Per ricordarti cosa stavi tornando a cercare.»

La mattina dopo, l’altoparlante della città — che Marco non aveva mai notato prima — annunciò un volo in partenza. Lo stesso numero del suo aereo.

All’aeroporto, tutto sembrava improvvisamente normale. Niente ghirlande, niente alberi. Solo un leggero odore di neve nell’aria.

Quando atterrò finalmente a casa, erano passate poche ore. Sua madre lo aspettava sulla porta, come se non fosse successo nulla.

Eppure, mentre la abbracciava, Marco capì che qualcosa era cambiato. Ogni Natale da quel momento in poi — anche nei giorni più ordinari dell’anno — gli sarebbe bastato chiudere gli occhi per ritrovare quella città dove il tempo si era fermato per insegnargli a tornare davvero a casa.

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