Il villaggio di Roccafredda era famoso per due cose: la neve che arrivava sempre in anticipo e le campane della chiesa che, la notte della vigilia, suonavano da sole. Gli abitanti dicevano che fosse un segno di protezione, un avvertimento che teneva lontane le creature oscure che un tempo abitavano nei boschi.
Ma quell’anno qualcosa cambiò.
La neve non scese. Il cielo rimase grigio e immobile, e persino le campane tacquero.
Fu allora che i più anziani tremarono: «Se le campane non suonano, i Diavoli di Natale torneranno.»
La sera della vigilia, mentre il villaggio tentava di festeggiare come sempre, un suono strano attraversò le strade: il raschiare di unghie sul ghiaccio.
Poi comparvero.
I Diavoli di Natale, figure contorte e antiche come il vento del nord, spuntarono dal bosco. Avevano corna ricurve, mantelli di pelliccia nera e occhi rossi che brillavano come braci. Agitavano catene e bastoni di legno contorto.
Ogni anno, secondo la leggenda, scendevano per mettere alla prova gli uomini: chi aveva il cuore buono sarebbe stato lasciato in pace; chi invece viveva nell’egoismo avrebbe ricevuto una notte di terrore.
Quel 24 dicembre sembrava destinato a diventare una notte nera.
Mentre i Diavoli avanzavano, tutti si nascosero nelle case, spegnendo luci e fuochi. Tutti tranne una bambina: Sara, sette anni, la più piccola del villaggio.
Non aveva paura. Guardò le figure gigantesche e disse:
«Perché siete così arrabbiati? È Natale… dovreste essere buoni anche voi.»
Il capo dei Diavoli si avvicinò. Le sue zanne erano lunghe, ma la voce, quando parlò, era sorprendentemente triste.
«Non siamo venuti per fare del male, piccola umana. Siamo venuti perché nessuno ci ha ricordati. Le campane non suonano più per noi.»
Sara aggrottò le sopracciglia. «Le campane suonano per chi vuole pace. Se volete pace… posso farle suonare io.»
La bambina corse verso la chiesa scalza nella neve sottile. I Diavoli la seguirono, indecisi. Entrò, salì sul campanile e tirò con tutte le sue forze la corda della campana.
Per un momento, niente.
Poi un rintocco profondo, luminoso, avvolse l’intero villaggio.
Donnnn… Donnnn…
Il suono investì i Diavoli di Natale come una carezza. Le loro forme si indebolirono, divennero più piccole, meno spaventose. Le catene caddero a terra e, uno dopo l’altro, si inginocchiarono.
Il capo sorrise, mostrando non più zanne, ma denti normali.
«Hai ricordato anche noi, piccola Sara. E ricordare è il gesto più importante del Natale.»
Prima di svanire nel bosco, il capo dei Diavoli consegnò alla bambina una campanella d’argento.
«Finché questa suonerà», disse, «il villaggio sarà al sicuro. E noi torneremo solo come guardiani, non come minaccia.»
Sara annuì, stringendo il dono al petto.
Al mattino, la neve scese finalmente. Bianca, pura, silenziosa.
Le campane della chiesa ricominciarono a suonare da sole ogni vigilia.
E da quel giorno, a Roccafredda, nessuno ebbe più paura dei Diavoli di Natale, perché sapevano che anche loro, in fondo, cercavano solo di essere ricordati.