La neve cadeva lenta e fitta sul piccolo sentiero di montagna. Due giovani novizie, suor Angela e suor Beatrice, camminavano avvolte nei loro mantelli scuri, dirette verso il monastero dove avrebbero partecipato alla Messa della Vigilia di Natale. Era il loro primo Natale in convento, e l’emozione rendeva lieve perfino il gelo pungente.
«Sicura che questa sia la strada giusta?» chiese Beatrice, stringendo tra le mani la lanterna.
«La Madre Superiora ha detto di seguire il sentiero finché non vediamo le mura antiche del monastero di Sant’Albino» rispose Angela. «E quello dovrebbe essere proprio lì.»
Davanti a loro, infatti, si ergeva un grande edificio in pietra, severo e silenzioso. Le finestre emanavano una fioca luce dorata. Sembrava accogliente, nonostante il gelo.
Bussarono. Nessuna risposta. Ma il portone si aprì da solo con un cigolio, come se qualcuno le stesse aspettando.
Entrarono.
All’interno, i corridoi odoravano di incenso e di cera consumata. La chiesa del monastero era illuminata da centinaia di candele: un bagliore caldo, avvolgente, quasi ipnotico. Decine di monaci incappucciati erano disposti in file perfette, immobili, come statue.
Le due novizie si avvicinarono timidamente a un banco in fondo.
Un suono profondo, solenne, cominciò a vibrare nell’aria. L’organo.
Un monaco anziano, dal volto pallido come la luna, salì all’altare. La sua voce, quando iniziò la celebrazione, era flebile eppure chiarissima, come se arrivasse da un luogo remoto.
Le novizie si inginocchiarono. E fu allora che Angela percepì qualcosa di strano. L’aria era gelida, nonostante le candele ardessero ovunque. E ogni volta che uno dei monaci muoveva la testa, il cappuccio non mostrava alcun volto. Solo un vuoto scuro.
Beatrice la guardò, gli occhi sgranati. Aveva capito anche lei.
Ma la messa continuava, sempre più intensa, sempre più irreale. Le voci dei monaci si unirono in un canto gregoriano che sembrava non appartenere al mondo dei vivi.
Quando il celebrante pronunciò l’ultimo “Amen”, tutti i monaci si alzarono insieme, perfetti come un’unica entità, e si incamminarono verso l’uscita laterale della chiesa.
La processione ebbe inizio.
Uscirono nel cortile innevato, continuando a intonare quel canto antico. Le torce che portavano oscillavano al ritmo dei passi, ma la fiamma non produceva calore né fumo.
Angela afferrò la mano di Beatrice. «Dobbiamo andare via. Ora.»
Tornarono al portone… ma il portone non c’era più.
Era murato.
Le finestre erano scomparse.
Il monastero non era più quello in cui erano entrate. Le candele si erano spente tutte. La chiesa era ora avvolta dal buio e dall’abbandono. Le panche erano marcite, l’altare spezzato, l’organo ridotto a un ammasso di legno contorto.
«Non può essere…» sussurrò Beatrice. «Eravamo qui… le abbiamo viste…»
Un vento gelido le attraversò, provocando un brivido che arrivò fino alle loro ossa. Dalla finestra alta dell’abside, lontana e irraggiungibile, si vedeva la processione dei monaci procedere nella neve, seguendo un sentiero invisible.
E, come in un eco lontanissimo, i canti continuarono per tutta la notte.
Un rintocco di campana risuonò. Ma non apparteneva a quell’edificio morente.
Era un rintocco antico, quasi secolare.
Le due novizie capirono.
Non erano entrate in un monastero qualunque. Avevano varcato la soglia di un luogo che non apparteneva più al mondo dei vivi. Un monastero scomparso secoli prima in una valanga, dove – si diceva – i monaci celebravano la Messa di Natale ogni anno, intrappolati in un eterno 24 dicembre.
E anche loro, ormai, ne facevano parte.
Perché la notte non finì.
Il cielo rimase nero, immobile.
La neve continuò a cadere identica, senza mai mutare intensità.
E la campana continuò a suonare, annunciando ogni volta l’inizio di una nuova Messa che non doveva esistere.
Angela e Beatrice si inginocchiarono, senza più forza per resistere. La processione tornò verso il monastero, i monaci fantasma ripresero posto ai banchi, e la celebrazione ricominciò da principio.
Era di nuovo la notte di Natale.
E lo sarebbe stata per sempre.