Da qui nasce la mia Sicilia

Da più di vent’anni viaggio e frequento la Sicilia orientale.
Catania, l’Etna, la Valle dell’Alcantara, i paesi che punteggiano le pendici del vulcano o che respirano l’aria salmastra del mare: luoghi che, estate dopo estate, sono diventati parte della mia vita.
Conoscendo le mie origini, molte persone mi hanno chiesto perché un uomo del Nord abbia sviluppato un legame così profondo con questa terra così lontana. Cosa mi abbia spinto a tornare, anno dopo anno, come richiamato da un filo invisibile.

La risposta è semplice solo in apparenza.
In realtà affonda le sue radici in una storia che comincia molto prima dei miei viaggi, quando la Sicilia era per me solo un nome sulla cartina, un punto lontano, un luogo che non pensavo mi sarebbe mai appartenuto.

Esiste una sottile linea che mi lega alla Sicilia: una trama iniziata più di trent’anni fa, in una terra distante oltre mille chilometri dalla Trinacria. Un intreccio nato da un libro scritto da un siciliano e affidatomi da un altro siciliano, seguendo le vie imprevedibili del destino.

Sul fondo di questa storia aleggia la scomparsa di un uomo di scienza: Ettore Majorana, il genio misteriosamente svanito nel nulla.
Conobbi il suo enigma attraverso un volume dalle pagine ingiallite, colmo di appunti e ritagli di giornale. Non potevo immaginare che quel libro avrebbe anticipato, con inquietante precisione, luoghi e incontri del mio futuro.

Molti anni dopo mi ritrovai proprio in quei luoghi, per ragioni sentimentali.
La Sicilia, che fino ad allora era stata quasi un’idea astratta, divenne improvvisamente concreta: calda, struggente, accogliente.
E lì, tra le sue atmosfere dense e luminose, decisi di raccontare questa storia.

Ci sono libri che ci cambiano, e altri che sembrano precederci, indicando un percorso.
Vi è mai capitato di entrare in libreria e sentire che un volume vi sta aspettando, come se sapesse in quale preciso momento vi trova la vita?

A me è accaduto più volte.
Ma che un libro mi anticipasse luoghi e incontri reali del futuro, no. Non fino all’arrivo del Cacciola — così lo chiamavamo — l’uomo che me lo consegnò.

I ricordi dell’infanzia spesso tornano a lampi, come fotogrammi sgranati.
Di lui conservo l’immagine della barba bianca, del viso segnato dal tempo, della sua esistenza inquieta: due lauree, l’impegno antifascista, il carcere, il confino, la guerra di Spagna, il viaggio dalla Sicilia al Nord.
Un uomo colto, contraddittorio, appassionato.
Scienziato e poeta, rivoluzionario eppure sempre impeccabile in giacca e cravatta.
Un ribelle d’altri tempi che, se si allontanava per poche ore dalla sua compagna Libera, le spediva una cartolina pur sapendo di arrivare a casa prima del postino.

Da bambino mi regalava libri: Gian Burrasca, Richard Scarry, Pinocchio, il Libro Cuore.
Ma il volume destinato a cambiarmi la vita non me lo regalò: rimase suo.

Ricordo una domenica a casa loro, al terzo piano di un condominio senza ascensore.
Appena varcata la soglia fui investito dall’odore di carta e pagine vissute.
Il Cacciola mi prese per mano e mi portò davanti alla sua libreria: un caos ordinato dove ogni titolo aveva un posto preciso nella sua memoria. Testi scientifici, poesia, romanzi, ritagli di giornale: un universo.

Io da bambino con il Cacciola e Libera
Io da bambino con Libera e il Cacciola

A pranzo Libera preparò il roast-beef e mise il servizio buono.
Io, intanto, tiravo fuori libri dagli scaffali. Non lo sapevo, ma forse quel giorno sfiorai proprio il volume che, anni dopo, avrebbe orientato la mia vita.

Gli anni passarono.
Le vite si incrociarono.
Fino al 2006, quando scendendo dal notturno Torino–Catania scoprii la Sicilia.

E fu amore immediato.

Diretto verso Castiglione di Sicilia, assaporai il vento incandescente del primo mattino, il profumo denso — il mio “profumo di Sicilia” — e la presenza immobile dell’Etna che sorvegliava la strada.
Tra mare e montagna capii che quella terra mi avrebbe cambiato.

Un pomeriggio d’agosto del 2009, incapace di dormire, uscii sul balcone a osservare la luce immobile della Valle dell’Alcantara.
Decisi di fotografare il concetto di caldo. Presi l’auto e arrivai a Passopisciaro, un borgo che sembrava sospeso sotto il sole. Cercavo un bar. Avevo sete.

Poi lo vidi.

In fondo alla piazza, un busto.

Ogni passo verso di lui sembrava attutito dal bagliore del pomeriggio. Quella figura aveva qualcosa di familiare.
Quando mi avvicinai, il riconoscimento fu immediato.

Era Ettore Majorana.

Il genio scomparso.
Serio, malinconico, imprigionato nel bronzo.

La dedica recitava:

Ad Ettore Majorana,
Mistero e Mito di un genio.
Nel centenario della sua nascita.
I cittadini di Passopisciaro.
5 agosto 2006.

Mi sedetti su una panchina, scosso e disidratato.
Ripensai al libro di Sciascia, alle mie letture, al Cacciola. Avrei voluto che fosse lì.
“Perché Majorana è a Passopisciaro?”, fu la domanda che mi esplose dentro.

In Italia, per trovare risposte, ci sono tre luoghi: la chiesa, la caserma dei carabinieri e il bar.

Entrai nel bar.
La barista mi indirizzò a una piccola enoteca lì di fronte.
Entrai e chiesi.

Il titolare, Maurizio Papotto, sorrise e iniziò a raccontare.

La famiglia Majorana trascorreva le estati proprio lì, nella loro masseria — ancora registrata come Villa Corso, dal cognome della madre di Ettore, Dorina Corso.
Molti anziani ricordavano quella famiglia elegante che andava a messa in paese. La signora Corso aveva donato un quadro da lei dipinto nel 1898. E qualcuno giurava di aver visto anche Ettore, giovane e ignaro del destino che lo attendeva.

Con gli anni, queste testimonianze sono svanite con chi le custodiva.
Ma il busto rimane.
Immerso nel silenzio della piazza, saldo nella memoria del paese.

E quel giorno, sotto il sole immobile di agosto, compresi che il cerchio si era chiuso.
Che quella sottile linea iniziata da un libro della mia infanzia mi aveva condotto esattamente lì: davanti al volto immobile di Ettore Majorana.


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